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Cosa accadrà alla scuola pubblica italiana e più specificamente quale destino è riservato a quella del mezzogiorno è una domanda che bisognerà porre con sempre maggiore attenzione alla politica.

Nella nostra regione il presidente De Luca sta promuovendo, a mio avviso a ragion veduta, una robusta azione politica in difesa di quella che chiamiamo, con un pizzico di nostalgia, la scuola della Costituzione.

La congiuntura demografica sfavorevole che vede svuotare il Sud di nascite in modo ininterrotto nell’ultimo decennio e quella politica, governata dal partito di Salvini che chiede senza se e senza ma di passare all’incasso del voto restituendo ai suoi elettori la autonomia regionale, sono elementi che destano grande preoccupazione.

A breve sentiremo riparlare, c’è da scommetterci, di graduatorie regionali riservate per gli insegnanti residenti in settentrione come proposto dai governi Berlusconi oltre 20 anni fa mentre l’ipotesi di pagare di più chi vive nel centro nord è già oggetto di dibattito.

Eppure, in questi anni tutti i parametri riguardante l’istruzione, al pari di quelli che interessano la sanità, altro caposaldo di una repubblica unitaria, descrivono un Paese meno coeso e attraversato da profonde disuguaglianze.

Ad un territorio, il mezzogiorno, con percentuali microscopiche di classi a tempo pieno e con una crescita demografica negativa il governo dovrebbe dedicare tempo e risorse.

Ad impoverire di intelligenze il sud contribuisce anche la migrazione dei laureati che produce un ulteriore svuotamento di forza lavoro qualificata, anche in questo caso i numeri raccontano come quasi un laureato su due emigra dal Sud in cerca di occupazione.

È possibile arrestare questo fiume in piena?

Auspicare da un governo che vede la Lega nord tra i protagonisti una azione in tal senso è semplicemente un’utopia.

Ha ragione De Luca allora a invocare una mobilitazione generale in difesa della scuola pubblica visto che nella ultima manovra di bilancio i risparmi previsti nel comparto della scuola tra un anno potrebbero sfiorare i 4 miliardi di euro.

La parola d’ordine è sempre la stessa, razionalizzare.

Verbo che traduce la riduzione delle sedi scolastiche aumentandone al tempo stesso il numero di alunni.

A nessuno sembra essere venuto in mente nel governo Meloni che la prima esigenza, mi correggo il primo diritto, degli studenti meridionali è quello di trascorrere a scuola un tempo uguale a quello dei loro coetanei lombardi o trentini.

A nessuno serve una scuola più affollata ma a tutti servirebbe una scuola più qualificata nei tempi e nei contenuti.

Solo ripartendo da una uguaglianza di opportunità offerte a tutti gli studenti italiani sarà possibile intervenire per ridurre le drammatiche distanze culturali presenti nel nostro Paese.

Quale forza politica dovrà farsene carico?

Antonio Nocchetti