la Repubblica – 07/06/2009

Giuseppe è un bambino di 11 anni che frequenta il primo anno di una scuola media di Casavatore in provincia di Napoli. Giuseppe è considerato un eccellente studente dai suoi insegnanti che lo ritengono in grado di proseguire nel percorso di studi nonostante le difficoltà economiche in cui si trova la sua famiglia. I suoi genitori non sospettano assolutamente che quello che il governo Berlusconi ha in mente di realizzare tra qualche settimana riguarderà così da vicino il loro sogno di avere un figlio dottore. La abolizione del valore legale del titolo di studio è, per ammissione dei ministri Gelmini e Brunetta, il prossimo obiettivo del governo nell´ambito delle politiche sull´istruzione. Questo intento troverebbe la sua giustificazione nel tentativo di ridare slancio alla concorrenza virtuosa tra le diverse facoltà universitarie e scuole superiori intrappolate in un letargo derivante da decenni di statalizzazione.
Ancora prima di entrare del merito della “terapia” dei ministri in questione, va ricordato che la nostra Costituzione prevede con l´articolo 33 i pilastri fondanti il valore legale del titolo di studio: l´ordinamento didattico e l´esame di Stato. L´evoluzione di questi principi nel tempo ha determinato nel nostro Paese una discreta omogeneità, sebbene le spinte centrifughe abbiano prodotto alcune riforme degli ordinamenti didattici senza intaccarne sostanzialmente l´aspetto della formazione unitaria. La chiarezza con cui recita l´articolo 33 della Costituzione: “È prescritto un esame di Stato per l´ammissione ai vari ordini e gradi di scuole…” e la sua collocazione nel titolo II, quello che prevede i rapporti etico-politici, sono elementi da considerare con molta serietà quando si sbandierano ai quattro venti i presunti vantaggi derivanti dalla abolizione del valore legale del titolo di studio.
Il fondato sospetto è che siamo di fronte alla soluzione finale del governo di centrodestra per sbaragliare la struttura unitaria delle conoscenze, ma soprattutto per aprire la strada a una selvaggia deregolamentazione dell´accesso alla cultura nelle diverse parti del Paese. Forse qualcuno ricorderà ancora il ministro Moratti che per prima affrontò l´argomento, provando a delegittimare gli esami di Stato e il valore numerico del loro esito. Argomento dominante tra i detrattori è la considerazione che gli istituti e le facoltà meno qualificate si sarebbero trasformate in “diplomifici e laureifici” che dequalificherebbero gli sforzi di tanti volenterosi studenti e professori. Quanto questo sia vero è impossibile da affermare, sicuramente non lo è per il livello di istruzione secondaria statale che viaggia ben sopra quello delle scuole paritarie come più volte verificato dalle prove Invalsi. Si osservi con attenzione che questo dato sulla supremazia della scuola pubblica superiore su quella paritaria è peculiare in Italia rispetto ad altri sistemi scolastici occidentali.
Se la questione originale e l´obiettivo che muove i due ministri è quello di dare una scuola moderna al nostro paese, allora bisogna avere il coraggio di dire che la soluzione proposta non affronta minimamente il problema, ma lo evita accuratamente. Quello che non evita è il disastro che produrrà nei territori meno evoluti d´Italia dove i nostri studenti non potranno più competere ad armi pari con i loro colleghi settentrionali. È triste continuare ad assistere a questa opera paziente di destrutturazione del sistema scolastico e universitario senza che dall´opposizione si levino proteste vibranti e argomentate. Quale facoltà del Sud potrà mai competere con una della Lombardia come possibilità di drenare investimenti o costruire ricerca? Quale istituto superiore del Sud potrà costruire percorsi formativi al pari di uno del Veneto o dell´Emilia Romagna? È possibile smontare l´ordinamento didattico nazionale senza ipotizzare terribili conseguenze nelle parti più arretrate del Paese?
Dopo avere prosciugato progressivamente di tempo e risorse economiche il mondo della istruzione pubblica, il governo di centrodestra si prepara a rimuovere l´ultimo baluardo costitutivo della stessa. Per il nostro Giuseppe e per tutti gli studenti che vivono nelle regioni svantaggiate del Paese (più banalmente il cui Pil è pari a 1/3 di quelle del Centro Nord) si prospetteranno percorsi scolastici differenti. Il federalismo fiscale provvederà a ridurre le opportunità formative di Giuseppe in tutti i livelli di istruzione, a nulla servirà la sua intelligenza quando si confronterà con scuole sempre più fatiscenti e una università in smobilitazione. Qualcuno dovrebbe provare a spiegare ai suoi genitori, che cosa gli stanno preparando e perché loro figlio non potrà avere mai le stesse opportunità formative di un coetaneo di Treviso.
Antonio Nocchetti