E’ doveroso dover puntualizzare, come di seguito potrete leggere nella nota che proviene dallo studio legale dell’associazione “tutti a scuola onlus” affermazioni e/o valutazioni che lasciano ipotizzare un uso improprio del ricorso al Tar da parte dei genitori degli alunni disabili comparse sul sito di Superando. E’ spiacevole, per chi scrive, constatare che queste riflessioni provengono dall’avvocato Salvatore Nocera ma, proprio per l’autorevolezza dell’interlocutore è indispensabile precisare quanto segue …

L’utilizzo didascalico dei punti, proposto qui di seguito, viene utilizzato  in modo da non lasciare dubbi nel Lettore:
1) la scuola rappresenta per ogni bambino disabile un’esperienza irripetibile di inclusione;
2) la scuola deve porre in essere le condizioni perché l’inclusione si realizzi e, nel giudizio di Tutti a Scuola, questo oggi non accade;
3) gli alunni disabili con diagnosi di gravità rappresentano oltre il 75% dei 188.000 alunni disabili complessivi;
4) gli insegnanti di sostegno rappresentano purtroppo – in classi numerose e con più alunni disabili – l’unico argine all’esclusione per l’alunno disabile;
5) la formazione degli insegnanti curricolari e, spesso, anche di quelli di sostegno è lacunosa e approssimativa;
6) la continuità didattica appare un passatempo lessicale per governo/i e sindacato/i.

Queste semplici considerazioni hanno mosso oltre sei anni fa i genitori dell’Associazione che mi onoro di presiedere a chiedere con grande determinazione alla politica, non ai tribunali, di  occuparsi della scuola dell’integrazione. Singolare è, nel nostro giudizio, che la Corte Costituzionale si sia occupata del problema e non ministri, sindacati e associazioni di disabili che “siedono” ad autorevoli tavoli istituzionali.
Le nostre lotte – e il termine non appaia desueto o anacronistico – proseguono e proseguiranno finché una mamma o un papà di un alunno disabile ci chiederanno di rappresentare il loro bisogno di una scuola di qualità. La nostra rara frequentazione dei Palazzi di Viale Trastevere (sede del Ministero dell’Istruzione) ci ha indotto a non redigere comunicati pieni di “luci e ombre”, a minacciare precipitose fughe dai tavoli o manifestazioni varie. La nostra esperienza di questi anni ci induce a chiamare per nome le ingiustizie, come il bambino che vede il sovrano  svestito e urla che «il re è nudo!».
Abbiamo la sfortuna di considerare ogni giorno che passa come una sconfitta per i nostri bambini e come un’occasione perduta; non tolleriamo quanti spostano le soluzioni dei problemi a incontri e anni scolastici successivi (classi numerose, più bambini per classe ecc. ecc.). Sappiamo – e questi anni ce l’hanno insegnato – che questa strategia (ma è tale?) non produce alcun miglioramento. In tale contesto, spesso solo il ricorso ai giudici rappresenta una garanzia di qualità (???) per il tempo scuola di un alunno disabile. Anche da questo punto di vista riteniamo come Associazione di avere svolto un compito che forse andava svolto da altre ben più organizzate Associazioni e/o Federazioni e da tempo.
Di seguito – come detto – riportiamo l’analisi che il responsabile dello Studio Legale di Tutti a Scuola, avvocato Simona Marotta, ha redatto con l’intento esclusivo di rafforzare la tutela dei diritti di tutti gli alunni disabili della scuola pubblica italiana.

Nota tecnica a cura di Simona Marotta, avvocato
Il diritto all’integrazione scolastica è sempre stato considerato dalla Magistratura (Ordinaria e Amministrativa), anche prima del recente intervento della Corte Costituzionale (Sentenza 80/10), come un diritto soggettivo pieno non suscettibile di affievolimento, neanche di fronte all’esigenza dello Stato di far quadrare il bilancio. Trattandosi di diritto soggettivo, i ricorsi in passato si proponevano innanzi al Giudice Ordinario che è il giudice naturale a conoscere le controversie relative alla violazione dei diritti soggettivi (articolo 25 della Costituzione).
Il Giudice Ordinario, dunque, riconosceva la natura soggettiva del diritto fatto valere in giudizio, accertava il danno di natura non patrimoniale (danno esistenziale) e per l’effetto condannava la Pubblica Amministrazione a risarcirlo. Successivamente, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (Sentenze 1144/07, 7103/09), ha stabilito il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario, rientrando la controversia relativa alla lesione del diritto all’integrazione scolastica nell’ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.
Nel corso di questi tre anni il Giudice Amministrativo si è andato pian piano a uniformare alle decisioni di quello Ordinario. Infatti:
– ha sempre riconosciuto la natura di diritto soggettivo pieno alla situazione fatta valere in giudizio dai ricorrenti (i ricorsi si vincevano anche prima dell’intervento della Sentenza 80/10 della Corte Costituzionale);
– la più recente decisione del TAR Campania depositata il 28 ottobre 2010 (Ordinanza n. 5490) ha condannato la Pubblica Amministrazione a corrispondere le spese della sola fase cautelare (il merito non è ancora stato né fissato né discusso);
– l’opportunità di chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale è una valutazione strettamente ed esclusivamente collegata all’evolversi non solo della giurisprudenza italiana (ad esempio il TAR della Puglia ha riconosciuto il danno, ma ha compensato le spese; e dal 16 settembre 2010 è entrato in vigore il nuovo Codice Amministrativo), ma anche di quella europea (infatti la Corte di Strasburgo riconosce il danno non patrimoniale tutte le volte in cui viene leso un diritto inviolabile della persona). La stessa Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 26972/08, ha sancito il principio che in caso di contrasto tra la giurisprudenza italiana e quella europea debba prevalere la seconda.

Solo per completezza argomentativa si fa presente che a tutt’oggi i ricorrenti chiedono e ottengono l’accertamento del diritto ad avere un sostegno adeguato alla patologia anche per gli anni successivi. Da una lettura attenta della motivazione delle numerose Sentenze (si veda ad esempio la Sentenza 16879/10), si evince in modo chiaro e inequivoco l’accertamento del diritto del minore all’assegnazione di un numero di ore di sostegno adeguato alla sua patologia per gli anni futuri, previa ricognizione del fabbisogno necessario in sede di PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.]. La valutazione di adeguatezza è rimessa all’équipe multidisciplinare che, in sede di PEI, deve indicare le figure professionali che devono supportare il minore, con l’indicazione del numero di ore. Accertato dunque il diritto del minore ad avere un sostegno scolastico adeguato alla sua patologia, anche per gli anni successivi la Pubblica Amministrazione – anno per anno – dovrà redigere il PEI, quantificare le ore di sostegno ritenute adeguate al minore e assegnarle allo stesso.
Il TAR, in nessun provvedimento, ha vincolato tale valutazione di adeguatezza alla cattedra di sostegno, così come erroneamente dichiarato dall’avvocato Nocera.

Antonio Nocchetti e Simona Marotta
Associazione Tutti a Scuola ONLUS