Caro direttore, spero che mi dedicherà qualche minuto del suo tempo per provare a raccontarle per quale motivo una scelta come quella di non recarsi alle urne possa avere, nonostante tutto, un senso. La premessa di chi le scrive è la consapevolezza che non esistono alternative al voto, che esso rappresenta una conquista intorno alla quale si è costruita la società dei diritti e che non è presente in alcuna democrazia occidentale la “differenziazione” di forme alternative all’astensionismo. Una considerazione che vorrei condividere con lei è rappresentata dal fatto che la crisi della rappresentatività politica ( la nascita dei partiti personali, dei partiti azienda e le fusioni a freddo tra diverse esperienze politiche) avrebbe determinato il formarsi di singoli gruppi di interesse. Questi ultimi apparentemente sordi, muti e ciechi alla complessità della società circostante, rivendicherebbero in una babele di class action diritti legittimi ma in modo egoistico. Insomma il “particulare” reso dominus assoluto avrebbe preso il sopravvento sulla capacità di fare sintesi: appunto quello che la politica e i partiti avevano storicamente rappresentato. Io sono assolutamente d’accordo con lei se questo è, mi scusi lo sforzo di esegesi del suo pensiero, la sua idea. Vorrei andare “oltre”questa analisi e provare ad immaginare gli antidoti a questo stato di cose. Temo che se siamo così ridotti è proprio per fattori strutturali. Purtroppo questi motivi sono impermeabili, o paiono esserlo, alle esigenze di cambiamento di una politica incapace di rinnovarsi. Doversi confrontare, come è avvenuto in questi mesi, sulla banale riflessione che un politico condannato non possa sedere in parlamento è offensivo per la Politica con la maiuscola e per le istituzioni. Forse sarebbe il caso di iniziare a chiedersi quali sono le regole da condividere tutti, maggioranza ed opposizione, per permettere a qualcuno di rappresentarci. Definire i requisiti minimi essenziali per poter decidere chi e come deve rappresentarci non è argomento da intellettuali delusi ma la premessa per raddrizzare una situazione compromessa. Quanto questo sia essenziale e non più prorogabile è evidente a chi, come è capitato al sottoscritto, ha avuto la necessità di interagire con i nostri rappresentanti istituzionali. E’ anti politico dirle dello sconforto che mi assaliva quando, al cospetto di un ministro o di diversi sottosegretari, avevo la netta sensazione che i miei interlocutori poco o nulla sapessero di quello di cui si doveva parlare e poi decidere? E’ il mio un delirio di onniscienza riferirle la sensazione che “Chi” doveva decidere non lo avrebbe mai fatto perché era lì solo per occupare una casella vuota? Chi seleziona i più alti rappresenti delle istituzioni? Questi partiti? Quali sono le prerogative per diventare ministro della funzione pubblica piuttosto che della sanità? Se le sembrano non argomenti può tranquillamente smettere di leggere questo personale sfogo, se tuttavia anche lei, come spesso ha sottolineato nei suoi scritti in momenti cruciale della vita politica cittadina, regionale e nazionale ha avvertito questa sensazione di inadeguatezza della rappresentatività mi suggerisca una via di uscita.
Solo partiti irrobustiti da regole chiare possono generare rappresentanti qualificati, quando le regole non esistono come nel partito azienda di centro destra o quando vengono clamorosamente violate come è accaduto in Campania ad esempio nelle primarie del partito democratico rimane solo l’indignazione e la consapevolezza che dietro l’angolo c’è il buio.
Lei comprenderà quanto sia frustante per chi prova con determinazione e conoscenza dei problemi sapere di dovere eleggere, perché è il male minore, un governo che, alle prese con una recessione internazionale ed un debito pubblico abissale ondeggerà tra la retorica del liberismo e quella di uno stato sociale che appare sociale solo nella forma. Non le sarà sfuggito che la domanda più inquietante per i nostri candidati premier è sempre stata quella delle risorse da recuperare: pressione fiscale, dismissione di patrimonio pubblico e riduzione della spesa avrebbero dovuto essere oggetto del dibattito di una classe politica che vede nell’aumento del PIL l’unica forma di sviluppo possibile. Eppure non ci sono in giro molti analisti economici disposti a ipotizzare nel prossimo futuro in Europa crescite economiche simili ai paesi asiatici.
Lei crede che questa classe politica che si auto seleziona, si auto assolve ad oltranza , sempre oscillante tra il non decidere o il decidere il meno possibile, intrappolata tra i veti di un sindacato sempre più lontano da chi lavora veramente ed una retorica comunista da guerra fredda possa veramente aiutarci?
Io no e solo per questo questa volta non andrò a votare.
Con stima Antonio Nocchetti.