la Repubblica – 22/07/2008

Questa domanda andrà ,in modo sempre più determinato, rivolta agli autorevoli rappresentanti del governo.
Questa domanda nasconde una terribile contraddizione della istituzione scolastica resa evidente dalle centinaia di ordinanze che la magistratura ha emesso in questi anni.
Appare infatti incredibile come la possibilità di frequentare la scuola per un alunno disabile sia garantita dal ricorso sistematico alla giustizia da parte dei suoi genitori.
Non deve sorprendere il fatto che in questi anni le competenze siano state prima della Procura , poi del Tar sino a giungere dinanzi al Consiglio di Stato e le decisioni di giudici diversi per uffici e mansioni siano state identiche nel garantire per i bambini disabili la frequenza nella scuola pubblica con gli insegnanti di sostegno.
La scuola dell’integrazione richiede per i bambini disabili tempi adeguati e professionalità ma
la scuola italiana non prevede per i bambini disabili queste condizioni.
Negli ultimi anni le linee guida che hanno visto impegnati i tecnici del ministero dell’economia e della istruzione si sono sviluppate intorno all’obiettivo di razionalizzare i costi. Questo apprezzabile e condivisibile sforzo in un paese che paga interessi sul debito pubblico pari ad oltre 70 miliardi di euro all’anno si è concretizzato nella ridefinizione del rapporto alunni-professori considerato troppo alto per il nostro paese.
Da più parti si sollevano legittime lamentele sull’efficacia del nostro modello scuola, da più parti vengono tirati in ballo i dati dell’OCSE per affermare lo stato di profondo disagio degli studenti italiani.
Tutti sono concordi , dai sindacati ai partiti politici , nel ritenere la scuola un settore in difficoltà ma la soluzione che si palesa non appare all’altezza del problema.
Se la preoccupazione del governo è quella di rilanciare la crescita delle energie culturali dell’intero Paese bisognerà partire dal considerare il mezzogiorno ( la città di Napoli è un esempio paradigmatico con la più alta percentuale di giovani di tutte la metropoli italiane) come quella parte del paese che per motivi demografici e socioeconomici ha il maggiore bisogno di “credere” nella scuola.
Il rischio è quello di creare in modo strisciante un modello scolastico che viaggia, per usare una metafora automobilistica, su un prototipo di formula 1 nel centro-nord e su di una piccola utilitaria usata al sud.
Il rischio è infatti, nel passaggio da un modello statale puro ed improduttivo ad un riforma federalista dettata dagli umori della Lega di Bossi , quello di ritrovarsi in pochi anni con strutture scolastiche che mostrino disomogeneità profonde lungo la penisola.
In questo contesto socioeconomico e culturale la disabilità diviene sempre più un elemento di “disturbo”, una esperienza da liquidare lentamente con mirati accorgimenti legislativi; fissare un tetto massimo di insegnanti di sostegno indipendente dal numero di alunni come fece il governo Prodi nella ultima finanziaria è stato un esempio illuminante: come se i bambini disabili potessero auto regolamentare le proprie nascite!
Continuare a non prevedere per gli insegnanti curricolari “obbligatoriamente” corsi di formazione è una altra di quelle scelte che pesano come macigni sul futuro della scuola dell’integrazione.
Anche questo, ma diremmo soprattutto questo , è il campo sul quale vince o soccombe l’idea della scuola con i disabili: la formazione e l’aggiornamento dei principali attori dell’integrazione, gli insegnanti, dovrebbe rappresentare lo spartiacque tra le politiche del passato e una scuola che considera la disabilità come una risorsa da valorizzare e non un costo da contenere.
Se i bambini disabili andranno ancora a scuola ritorna come interrogativo con maggiore efficacia; non è interessante replicare al delirio razziale di chi considera gli insegnanti meridionali una piaga da evitare, sarebbe illuminante, forse , conoscere il suo pensiero sugli alunni disabili!
Ci interessa confrontare il governo sui problemi concreti, incalzare il ministro di interrogativi sulla organizzazione del tempo scuola per i disabili i per il prossimo anno scolastico.

Sappiamo altresì quanto sia faticosa l’esperienza della scuola per un bambino disabile che vede crescere il numero di alunni nella sua classe, ridurre le ore di sostegno specializzato, interagire con insegnanti demotivati soprattutto perché non qualificati. Da tempo si invoca la presenza dei volontari affianco ai disabili nelle scuole, questo è discutibile sotto diversi profili, il più eclatante è quello rappresentato dal rispetto del PEI ( piano educativo individualizzato) dei bambini disabili che devono essere accompagnati da operatori qualificati e non da volenterosi “intrusi”.
Quello che ci sgomenta è lo scadimento del livello offerto da alcuni membri di questa maggioranza: la scuola avrebbe bisogno di consigli ed attenzioni molto più serie che quelle della ricerca della carta di identità degli insegnanti. Parimenti quello di cui avrebbe senza dubbio bisogno un governo autorevole è di ministri e leader qualificati , intelligenti ed educati. Con tutta evidenza ci sembra che queste qualità siano appannaggio solo di casi sporadici nel governo Berlusconi e questo è un vero peccato per tutti i cittadini italiani.
L’alternativa che si profila all’orizzonte per gli alunni disabili è con tutta evidenza il ripristino delle classi differenziali, questo garantirebbe da subito un risparmio nella spesa corrente del ministero della istruzione di almeno 600 milioni di euro all’anno, risparmio ovviamente incrementabile negli anni successivi con la progressiva formazione di classi composte da almeno 10 alunni disabili che richiederebbero risorse economiche enormemente inferiori a quelle attuali.
Il ritorno delle classi differenziali è lo scenario che si sta delineando se non si leveranno dai partiti di opposizione, dai sindacati , dalla società civile e della Chiesa voci profondamente dissonanti.
Speriamo che questo accada nell’interesse non solo dei nostri figli disabili ma per tutti i bambini della scuola italiana che hanno tanto bisogno di crescere con i loro fratelli più deboli.
Antonio Nocchetti